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sabato 18 dicembre 2010

LETTERA DI UNA MAMMA....ALLA NOSTRA INDIFFERENZA

Da un finestrone del reparto maternità dell'allora già vetusto ospedale Principessa Jolanda di Milano (oggi non c'è più) ho potuto ammirare la cupola di Santa Maria delle Grazie del Bramante incorniciata da un cielo terso, luminoso e azzurro che sembrava finto, nel quale, a far da contrappunto alla luna, brillava una stella solitaria. Uno scenario di rara bellezza che mi era sembrato un ottimo auspicio per la mia bambina appena nata.
Oggi trent'anni dopo sono una madre molto arrabbiata. Non è mia figlia che mi ha deluso. E non è di lei che voglio parlare, ma dell'indifferenza di chi assiste senza scomporsi al dramma della sua generazione. Alla sua età io avevo già fatto molti sacrifici, ma avevo prospettive concrete di crescita professionale e di fare progetti per la vita. Per mia figlia e la grande maggioranza dei suoi coetanei i sacrifici non bastano: con questi giovani la realtà è stata, ed è, avara di occasioni e ladra di sogni. Possono anche dimostrare di valere, ma non hanno la libertà di inventarsi il futuro. Non siamo stati capaci di difendere il futuro dei nostri figli. Abbiamo creduto che bastasse aver conquistato certi diritti per avere la certezza che sarebbero durati all'infinito. Complice un diffuso benessere, amplificato in principio dal «riflusso» degli anni Ottanta, abbiamo un po' dormito sugli allori. Noi, che abbiamo potuto realizzarci grazie al lavoro, li abbiamo cresciuti nella certezza che il loro futuro sarebbe stato migliore. Basta con l'alibi della crisi globale che paralizza la crescita del Paese. In tempi di crisi c'è anche chi si arricchisce. Credo che abbia ragione chi dice che è finito il tempo del posto fisso perché il mercato del lavoro esige sempre più flessibilità, ma andare in questa direzione senza criterio né tutele non è un passo avanti. Il processo di trasformazione sociale in atto non dovrebbe essere solo un prezzo da pagare. I giovani hanno capacità di adattamento, ma non vogliono e non devono essere ingiustamente penalizzati. Un lavoro dignitoso e flessibile ma con garanzie graduali, fino a raggiungere una certa stabilità, è un elemento importante per ridare fiducia e contribuire al rilancio dell'economia. Non lo dico io, che sono solo una madre arrabbiata, l'hanno detto e lo dicono ripetutamente economisti e giuslavoristi importanti.
Io ho letto con molta attenzione questa lettera e devo dire che la condivido solo in parte. Il ciclone che ci
ha investito a partire dalla fine degli anni ottanta, fa sì che noi ed il sistema in generale non per indifferenza,
ma soprattutto per paura, ci ha portato sin qui. Continuiamo ad aiutare direttamente i nostri figli o nipoti con i mezzi che ancora ci restano, ma siamo obsoleti ed eticamente non all'altezza per cambiare il
sistema, per cui come è sempre successo in passato, tocca a loro rimodellare la società, io sono certo
che troveranno il modo. Se vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno...accontentiamoci di prendere atto
che una parte del mondo, fino agli anni novanta, chiusa ed impermeabile ai nostri prodotti, dai paesi emergenti del bric e dell'Africa oggi stanno molto meglio e cominciano a consumare anche i nostri marchi e le
griffes che diversamente non avrebbero più avuto uno sbocco.

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