San Francisco non è la prima città americana ad arrendersi alla spietata legge di un'economia che sta drenando le risorse degli Stati, delle contee - le nostre province - e delle città, nelle quali i contribuenti esigono che sempre maggiori fette della fiscalità tornino a loro. Dalla capitale Washington, dove il personale della polizia metropolitana e degli uffici pubblici ha l'obbligo di residenza nella città o nei suoi sobborghi satellite, a Denver, nel Colorado, dove è in vigore la "Dura", come si chiama per caso la dura norma sulla ricostruzione urbana riservata agli abitanti e ai residenti legali, sistemi di quote e preferenze localistiche stanno diffondendosi in una nazione che si vanta di non discriminare fra razze, generi, religioni, status legale o preferenze sessuali (come precisa l'ancora apertissima New York). Ma che al momento di distribuire le sempre più magre risorse pubbliche deve tornare a chiedere i documenti. Ma San Francisco, da più di un secolo la "costa dei barbari", degli spiriti liberi, dei poeti maledetti, dei figli del mondo e dei fiori, la comunità dove tutto è possibile e tutto è permesso, era vista come l'ultima roccaforte di un'utopia che aveva avuto il suo zenith nell'estate dell'amore 1967 e conosciuto il suo terribile nadir all'inizio degli anni '80, quando l'Aids devasto la comunità gay di Castro. La resa del "Board of Supervisors" - il potentissimo consiglio comunale che funziona anche da corpo legislativo del quale fece parte il celebrato Harvey Milk, il primo politico apertamente gay poi assassinato - alla realtà della finanza, è dunque specialmente dolorosa.
Il sindaco Newsom, salito al potere con il 72% dei voti, ha grandi ambizioni politiche, e dopo essere stato già eletto anche vice governatore nel novembre scorso, immagina possibili orizzonti futuri alla guida dello Stato intero. Ma la California, già motore dei successi e della crescita americana soprattutto negli dell'illusoria "new economy" nella valle dei computer e di internet, chiuderà il 2010 con 26 miliardi di dollari di disavanzo pubblico. E la falce degli amministratori pubblici sta calando su scuole, servizi pubblici, assistenza, sanità. La zattera alla quale si aggrappano sindaci, amministratori di contea, assessori sono i fondi per la ricostruzione venuti da Washington, nel "Reconstruction Act" del 2009 con i suoi quasi 800 miliardi, e negli stanziamenti locali quasi sempre a credito, finanziati con obbligazioni che i contribuenti dovranno ripagare. Dunque, chi non risiede e non paga le tasse, non avrà diritto a salire sulla zattera. E per essere residente non si può essere "senza documenti". Sono quindi i clandestini i primi a essere esclusi.
"È stato difficile, ma ho dovuto farlo", si è inchinato mestamente il sindaco respingendo le invocazioni di chi gli chiedeva di mettere il veto - in verità pochi perché l'autarchia del lavoro ha avuto l'approvazione di 8 consiglieri su 11 e i supervisors sono oggi espressione dei quartiere della città, non più dei residenti in generale. Il presidente del board è infatti un cinese, Chiu, figlio di immigrati taiwanesi, dunque espressione della etnia più forte, ancora imperniata, ma non più limitata, nella Chinatown.
Fino a quando il morso della recessione non si sarà allentato e il mercato immobiliare, motore primo della finanza locale attraverso l'Ici, non ripartirà, i buoni sentimenti, la tradizione, il ricordo di "San Francisco Città Aperta" continueranno ad appassire come i fiori tra i capelli dei vecchi ragazzi del '67. San Francisco è chiusa per restauri e si culla in un'altra illusione, quella del localismo redentore. In altre città ancora più inguaiate, come Cleveland e Cincinnati, le metropoli degli altiforni freddi sui Grandi Laghi, le quote riservate ai residenti esistono da anni. Ma non si trovano mai abbastanza residenti per fare gli spiacevoli e mal pagati lavori che a loro sarebbero riservati. Non basta riservare un posto a tavola, se poi nessuno si presenta.
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