È ormai chiara a tutti una verità elementare: nelle fasi in cui si prevede un’accelerazione elettorale, il Pd, l’Udc, Fli (e negli ultimi giorni persino Nichi Vendola) sono pronti a fare cartello. Appena la prospettiva del voto si allontana, ciascuno torna a fare partita a sé e a pensare ai propri guai. Ecco perché Pier Ferdinando Casini oscilla tra le interviste in cui invoca un Cln per liberare il paese da Berlusconi a quelle in cui offre una sorta di appoggio esterno all’esecutivo, oppure nega sdegnato anche la sola idea di un’alleanza col Pd, come ha fatto nelle ultime ore. Un problema analogo lo ha Fini, il quale la scorsa settimana ha celebrato una schizofrenica costituente di Fli, da una parte rassicurando chi nel suo partito non accetta di fare asse con la sinistra nemmeno in caso di emergenza («Non andremo mai a sinistra», è stato il mantra della convention di Rho), dall’altro promuovendo negli incarichi chiave tutti i fautori della Santa Alleanza. Fini ha pagato caro il prezzo di questa ambiguità.
Fermo sulla proposta del grande patto costituzionale c’è solo il Pd, che resta così in balìa degli eventi. Pier Luigi Bersani può compiacersi di aver messo in campo una soluzione d’emergenza capace di ottenere consenso. Ma se l’emergenza, almeno quella elettorale, non c’è? E se Berlusconi, a dispetto di tutto, riuscisse davvero a portare a termine la legislatura? Rimettere in campo una solida strategia delle alleanze è comunque una priorità, che si voti tra due mesi o nel 2013. Ma senza “emergenza”, la Santa Alleanza perde molte delle sue ragioni e del suo fascino. Se i democratici - e come loro anche Fini e Casini - hanno altri due anni per organizzarsi, gli elettori si attendono la capacità di avanzare una proposta ordinaria, in cui magari il centrosinistra fa il centrosinistra e il Terzo Polo fa il Terzo Polo, ammesso che sia capace di resistere così a lungo alle intemperie. Un’alleanza vasta è sempre possibile, ma a quel punto è lecito pretendere che sia cementata da un solido progetto politico oltre che dalla necessità di arginare il plebiscitarismo del Cavaliere.
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