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mercoledì 29 aprile 2020

OCCASIONE PER RILANCIARE IL SISTEMA ITALIA

Corriere della Sera 29 Apr 2020 di Aldo Cazzullo

«È l’occasione per rilanciare tutto il sistema Italia». Vittorio Colao rilascia al Corriere la sua prima intervista: «Ripartiremo a ondate, pronti a chiudere piccole aree se il male riparte. Regole diverse a seconda delle Regioni. Così funzionerà l’app, salvando la privacy».
Vittorio Colao, gli italiani si aspettavano dalla fase 2 più libertà. Personali ed economiche. Che cosa risponde?
«Dal 4 maggio rimettiamo al lavoro quattro milioni e mezzo di italiani, tra costruzioni, manifattura, servizi collegati, ovviamente nel rispetto dei protocolli. Molti sono già partiti lunedì, anche se questo nella comunicazione si è un po’ perso. Ne rimangono due milioni e 700 mila, più la pubblica amministrazione. È una base per poter fare una riapertura progressiva e completa. Sarà un test importante. Dipenderà dai buoni comportamenti. Un’apertura a ondate permette di verificare la robustezza del sistema».
C’è anche chi dice invece che stiamo riaprendo troppo presto. In Germania i casi aumentano, la Francia rinvia l’apertura delle scuole. L’italia ripartirà in sicurezza?
«Abbiamo raccomandato tre precondizioni che vanno monitorate. La prima: il controllo giornaliero dell’andamento dell’epidemia. La seconda: la tenuta del sistema ospedaliero, non solo le terapie intensive, anche i posti-letto Covid. La terza: la disponibilità di mascherine, gel e altri materiali di protezione. A queste condizioni si può riaprire».
E se l’epidemia riparte?
«L’approccio non dovrà essere nazionale e neppure regionale, ma microgeografico: occorre intervenire il più in fretta possibile, nella zona più piccola possibile. Abbiamo indicato al governo un processo. L’importante è che le misure siano tempestive; nella speranza che non siano necessarie».
Appunto: perché trattare allo stesso modo l’umbria, che ha meno di dieci casi al giorno, e la Lombardia, che ne ha quasi mille? Non è meglio differenziare le regole a seconda delle Regioni?
«Io ho mezza famiglia a Catanzaro e mezza a Brescia. I numeri dell’epidemia sono molto distanti; nel lungo termine non li si può gestire allo stesso modo. Dovremo rispondere diversamente, per non penalizzare le zone che hanno
meno casi. L’importante è che l’italia si doti di un sistema per condividere le informazioni. La trasparenza sarà fondamentale. Se tanti lombardi e piemontesi vanno in Liguria, ogni Regione guarderà i suoi numeri, ma il ministero della Sanità dovrà guardare alle interrelazioni, per capire se il movimento crea focolai. Lo stesso vale per il corridoio di trasporto tra Lazio e Toscana. I numeri ci diranno quando potremo proseguire con le riaperture, minimizzando il danno economico e massimizzando la sicurezza».
Molte aziende sono aperte. Ma non ci sono regole chiare sui test.
«Gli italiani devono abituarsi a convivere con il problema. Molte imprese si stanno attrezzando per inserire i test nelle loro procedure di sicurezza interne; il Comitato tecnicoscientifico individuerà quello più affidabile. A livello individuale abbiamo l’app, a livello di grandi numeri lo screening».
L’app servirà davvero?
«Potrà servire se arriva in fretta, e se la scarica la grande maggioranza degli italiani. È importante lanciarla entro la fine di maggio; se quest’estate l’avremo tutti o quasi, bene; altrimenti servirà a poco».
Se la sente di garantire che non sarà una violazione della privacy da parte dello Stato?
«Non è così. Non è stato scelto il sistema centralizzato, che manteneva l’identità di tutti i contatti. E’ stata scelta l’altra soluzione, quella Apple-google. I contatti stanno solo sui telefonini delle persone. Quando scopro di essere contagiato, sono io che metto dentro un codice, che rilascia una serie di codici alle persone con cui sono entrato in contatto. Tutto avviene in modo anonimo: l’individuo viene informato dal sistema, ma il sistema non sa chi sono i due; la privacy dei due individui è mantenuta.
Nessuno conosce l’altro. Il sistema sanitario locale — se vorrà — potrà disegnare l’app in modo da contattare i cittadini, ma in trasparenza».
Pensa davvero che gli italiani la scaricheranno?
«Se gli verrà spiegato bene, lo faranno. Se vivessi in un piccolo paese e fossi contagiato, avviserei chi mi è stato vicino di stare attento. L’app lo fa in automatico e anonimamente: mi avviserebbe che sono stato in contatto con un contagiato, e devo chiamare il servizio sanitario. Non vedo perché gli italiani dovrebbero rinunciare a informazioni che non limitano ma rafforzano la loro libertà».
Come faranno i negozianti ad attendere il 18 maggio? E i bar e ristoranti a resistere fino a giugno?
«Le riaperture di negozi e bar, e tantomeno delle chiese, non sono di competenza del nostro Comitato; sono decise dal governo sulla base di input sanitari. Noi siamo advisor: ci è stato chiesto di dare consigli su come far ripartire costruzioni e manifattura. La riapertura progressiva ti fa capire meglio a quale velocità devi andare. È una malattia che non ha una mortalità altissima, ma può mettere in ginocchio il sistema sanitario; è un dovere morale evitarlo. Sento parlare di distanziamento sociale; dovremmo parlare di distanziamento fisico. La società deve essere più unita e coesa di prima. È il momento di collaborare, tutti: andando in ufficio in bicicletta, spalmando gli orari di ingresso, continuando con lo smartworking».
Si dice che siate troppi. State funzionando? E quanto costate?
«Troppi? La presidenza del Consiglio ha creato tre strutture: il commissario Covid che garantisce che arrivino mascherine e altro materiale; il Comitato tecnico-scientifico, che esiste in tutti i Paesi; e noi, che siamo chiamati ora a fare proposte per il rilancio, per il 2020 e il 2021. Noi del Comitato economico-sociale siamo tutti volontari. Nessuno guadagna nulla, come è giusto che sia».
Lei è qui per prendere il posto di Conte?
«Non ho nessuna intenzione di fare politica. Mi è stato chiesto di aiutare a gestire una fase complicata, con un gruppo di persone esperte di diverse materie».
Chi gliel’ha chiesto? Conte o Mattarella?
«Il presidente Conte. Stavo passeggiando in giardino, qui a Londra si può. Ho chiesto due ore per avvisare la General Atlantic, cui dedicavo metà del mio tempo, e le altre società cui collaboravo. Mi hanno risposto: of course, naturalmente puoi e devi fare qualcosa per il tuo Paese. Alla fine tornerò al mio lavoro. Molti manager l’hanno fatto, in molti Paesi; solo in Italia si pensa che vogliano fare politica. Sono state scritte anche altre inesattezze».
Quali?
«Non abbiamo mai proposto di chiudere in casa i sessantenni. L’hanno creduto in tanti, anche Fiorello. Abbiamo solo posto il tema dei muratori nei piccoli cantieri e dei lavoratori nelle manifatture minori».
Quali misure proporrà per il rilancio?
«Siamo all’inizio: abbiamo appena ascoltato il presidente della conferenza dei rettori, nei prossimi giorni sentiremo tutte le categorie. Siamo divisi in sei gruppi di lavoro, che coprono tutte le parti produttive e sociali: aziende, istruzione, turismo, cultura, famiglie, pubblica amministrazione… Abbiamo l’opportunità di fare in ognuno di questi campi cose che avrebbero richiesto molto più tempo. Mai lasciarsi sfuggire una crisi».
È l’occasione per ricostruire la macchina dello Stato?
«Non solo: è l’occasione per rilanciare tutto il sistema Italia. Il Paese ha imparato a usare le nuove tecnologie, i nuovi strumenti per comunicare. Dobbiamo ammodernare i modelli commerciali delle nostre imprese. Aumentare la partecipazione femminile al lavoro, sostenendo al contempo la natalità, aiutando le madri che lavorano».
Le scuole chiuse non aiutano.
«Abbiamo raccomandato congedi parentali retribuiti e bonus per baby-sitter; ovviamente occorrerà prendere misure strutturali. Dovremo massimizzare l’utilizzo dei beni culturali, artistici, ambientali. Riaprire corridoi turistici, appena possibile. Ed estendere le stagioni».
Si andrà in vacanza quest’estate?
«Spero di sì. Andremo più vicini, avremo un turismo più locale. Il nostro grado di libertà dipende da come ci comportiamo da qui a luglio. Sta a noi rispettare la distanza fisica e non vanificare gli sforzi fatti finora».
La sua città, Brescia, è tra le più colpite. Molte aziende chiuderanno al Nord? O l’economia ripartirà?
«Direi di sì, che ripartirà. Non è un sì senza condizioni. Bisogna aiutare le imprese sul fronte della liquidità. Ammodernarne le strutture produttive e distributive. Farle lavorare con meno gravami amministrativi, meno complicazioni: tutti lo dicono ma nessuno lo fa, perché è difficile farlo; ma il momento è adesso. Servirà un intervento dello Stato, spero temporaneo, senza sussidi a lungo termine: la Cassa depositi e prestiti può essere lo strumento giusto. Tra 12-18 mesi potremo aver superato la tempesta».
Quanti soldi servono, e dove?
«C’è un ministro dell’economia che decide dove mettere i soldi. Noi possiamo indicare le iniziative che danno il miglior ritorno».
Ci attende una recessione, o c’è il rischio di una depressione globale?
«Il rischio c’è. Dipende da due cose che nessuno conosce: la scoperta di una terapia e di un vaccino; e la governance mondiale. Serve un coordinamento internazionale. Se ognuno guarda il suo orticello e non coordina le proprie misure con gli altri le conseguenze saranno pesanti. L’europa è chiamata a dare risposte comuni su trasporto merci, circolazione delle persone, protocolli per la sicurezza. Se la Francia o la Germania decidono una cosa diversa dall’italia, una parte delle risorse si sposterà. Evitiamo di danneggiarci a vicenda».
Cosa pensa degli aiuti russi e cinesi? Filantropia? O geopolitica?
«È una domanda da fare al ministro degli Esteri. Dico solo questo: è importante che ci sia il dialogo. Dobbiamo mantenere una visione multilaterale. Ce l’ha insegnato il virus, che non guarda alle nostre divisioni».
Lei continua a lavorare da Londra?
«Sì. Se fossi tornato avrei dovuto fare due settimane di quarantena, avrei perso tempo. Dobbiamo tutti imparare a lavorare in modo diverso. Ho guidato una multinazionale come Vodafone via video, dall’india al Sudafrica. In certi casi gli spostamenti sono controproducenti. Abbiamo iniziato a lavorare la mattina di Pasqua e neanche ci conoscevamo; dopo dieci giorni abbiamo consegnato le prime raccomandazioni. Se ci fossimo visti di persona, probabilmente non ce l’avremmo fatta».
L’approccio non sarà nazionale o regionale ma microgeografico per intervenire in fretta nella zona più piccola possibile

venerdì 3 aprile 2020

L'AZIONE SOLIDALE PER L'EUROPA IN VISTA DELL'EUROGRUPPO DEL PROSSIMO 7 APRILE - PARTE SECONDA - LA LETTERA DI CONTE A URSULA VON DER LEYEN E ALTRO......IN ATTESA DEL D DAY

Ecco la lettera con cui il presidente del Consiglio Giuseppe Conte risponde all’intervento della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen pubblicato ieri da Repubblica:
Cara Ursula,
ho apprezzato il sentimento di vicinanza e condivisione che ha ispirato le parole con cui ieri, dalle pagine di questo giornale, ti sei rivolta alla nostra comunità nazionale e, in particolare, al nostro personale sanitario, che, con grande sacrificio e responsabilità, è severamente impegnato nel fronteggiare questa emergenza. Le tue parole sono la prova che la determinazione degli italiani ha scosso le coscienze di tutti, travalicando i confini nazionali e ponendo la riflessione oggi più urgente: cosa è disposta a fare l’Europa non per l’Italia, ma per se stessa. In questi giorni ho ricordato spesso come l’emergenza che stiamo vivendo richieda una risposta straordinaria, poiché la natura e le caratteristiche della crisi in corso sono tali da mettere a repentaglio l’esistenza stessa della casa comune europea. Non abbiamo scelta, la sfida è questa: siamo chiamati a compiere un salto di qualità che ci qualifichi come "unione" da un punto di vista politico e sociale, prima ancora che economico. L’Italia sa che la ricetta per reggere questa sfida epocale non può essere affidata ai soli manuali di economia. Deve essere la solidarietà l’inchiostro con cui scrivere questa pagina di storia: la storia di Paesi che stanno contraendo debiti per difendersi da un male di cui non hanno colpa, pur di proteggere le proprie comunità, salvaguardando le vite dei suoi membri, soprattutto dei più fragili, e pur di preservare il proprio tessuto economico-sociale.
La solidarietà europea, come hai tu stessa ricordato, nei primi giorni di questa crisi non si è avvertita e ora non c’è altro tempo da perdere. Accogliamo con favore la proposta della Commissione europea di sostenere, attraverso il piano "Sure" da 100 miliardi di euro, i costi che i governi nazionali affronteranno per finanziare il reddito di quanti si trovano temporaneamente senza lavoro in questa fase difficile. È una iniziativa positiva, poiché consentirebbe di emettere obbligazioni europee per un importo massimo di 100 miliardi di euro, a fronte di garanzie statali intorno ai 25 miliardi di euro.
Ma le risorse necessarie per sostenere i nostri sistemi sanitari, per garantire liquidità in tempi brevi a centinaia di migliaia di piccole e medie imprese, per mettere in sicurezza occupazione e redditi dei lavoratori autonomi, sono molte di più. E questo non vale certo solo per l’Italia. Per questo occorre andare oltre. Altri player internazionali, come gli Stati Uniti, stanno mettendo in campo uno sforzo fiscale senza precedenti e non possiamo permetterci, come italiani e come europei, di perdere non soltanto la sfida della ricostruzione delle nostre economie, ma anche quella della competizione globale.
Quando si combatte una guerra, è obbligatorio sostenere tutti gli sforzi necessari per vincere e dotarsi di tutti gli strumenti che servono per avviare la ricostruzione. A questo proposito, nei giorni scorsi ho lanciato la proposta di un’European Recovery and Reinvestment Plan.
Si tratta di un progetto coraggioso e ambizioso che richiede un supporto finanziario condiviso e, pertanto, ha bisogno di strumenti innovativi come gli European Recovery Bond: dei titoli di Stato europei che siano utili a finanziare gli sforzi straordinari che l’Europa dovrà mettere in campo per ricostruire il suo tessuto sociale ed economico. Come ho già chiarito, questi titoli non sono in alcun modo volti a condividere il debito che ognuno dei nostri Paesi ha ereditato dal passato, e nemmeno a far sì che i cittadini di alcuni Paesi abbiano a pagare anche un solo euro per il debito futuro di altri. Si tratta - piuttosto - di sfruttare a pieno la vera "potenza di fuoco" della famiglia europea, di cui tutti noi siamo parte, per dare vita a un grande programma comune e condiviso di sostegno e di rilancio della nostra economia, e per assicurare un futuro degno alle famiglie, alle imprese, ai lavoratori, e a tutti i nostri figli.
Al termine dell’ultimo Consiglio europeo dello scorso 26 marzo, ci siamo dati due settimane di tempo per raccogliere questa sfida.
Purtroppo, alcune anticipazioni dei lavori tecnici che ho potuto visionare non sembrano affatto all’altezza del compito che la storia ci ha assegnato.
Si continua a insistere nel ricorso a strumenti come il Mes che appaiono totalmente inadeguati rispetto agli scopi da perseguire, considerato che siamo di fronte a uno shock epocale a carattere simmetrico, che non dipende dai comportamenti di singoli Stati. È il momento di mostrare più ambizione, più unità e più coraggio. Di fronte a una tempesta come il Covid-19 che riguarda tutti, non serve un salvagente per l’Italia: serve una scialuppa di salvataggio solida, europea, che conduca i nostri Paesi uniti al riparo. Non chiediamo a nessuno di remare per noi, perché abbiamo braccia forti. "Le decisioni che prendiamo oggi verranno ricordate per anni. Daranno forma all’Europa di domani", hai scritto ieri nel tuo intervento. Sono d’accordo. Il 2020 sarà uno spartiacque nella storia della Ue.
Ciascun attore istituzionale sarà chiamato a rispondere, anche ai posteri, delle proprie posizioni e del proprio operato. Solo se avremo coraggio, se guarderemo davvero il futuro con gli occhi della solidarietà e non col filtro degli egoismi, potremo ricordare il 2020 non come l’anno del fallimento del sogno europeo ma della sua rinascita.

In attesa di superare lo stallo su Coronabond e Mes, ieri la Commissione europea ha lanciato ufficialmente il primo strumento anti-crisi. Si tratta di Sure, (acronimo di Support to mitigate unemployment risks in emergency), un fondo europeo contro la disoccupazione che attraverso 25 miliardi di garanzie volontarie degli Stati permetterà di finanziare le casse integrazioni nazionali o schemi simili di protezione dei posti di lavoro. Sure funzionerà così: raccoglierà risorse sui mercati emettendo bond con tripla A, quindi a tassi bassissimi, che darà poi ai Paesi che ne hanno bisogno con scadenze a lungo termine. «Con questo nuovo strumento di solidarietà mobiliteremo 100 miliardi per mantenere le persone nei loro posti di lavoro e sostenere le imprese» ha aggiunto la presidente della Commissione Ursula von der Leyen.
Il vice presidente della Commissione Europea, Valdis Dombrovskis, parlando con la Repubblica, afferma che l’Unione Europea tiene aperte tutte le opzioni, compresi gli eurobond. Ecco la sua intervista:
Cosa propone Bruxelles per una reazione immediata alla crisi?
«Serve una risposta rapida e senza precedenti. Nelle ultime settimane abbiamo sospeso il Patto di stabilità e il divieto di aiuti di Stato alle imprese.
Inoltre ci sono state le decisioni della Bce. Oggi portiamo un nuovo pacchetto: l’obiettivo è di preservare quanto più possibile imprese e occupazione. Più aziende salviamo, più posti di lavoro manteniamo, più veloce sarà la ripresa economica.
Ecco perché abbiamo proposto "Sure", uno strumento che avrà fino a 100 miliardi da prestare ai governi nazionali a condizioni vantaggiose per sostenere gli ammortizzatori sociali. Inoltre abbiamo accordato massima flessibilità su come usare i fondi europei: potranno essere impiegati senza co-finanziamento nazionale e trasferiti tra le regioni di un Paese».
Come raccoglierete i 100 miliardi di "Sure"?
«Chiediamo ai governi di fornirci garanzie per 25 miliardi: a quel punto la Commissione andrà sui mercati per raccogliere soldi che presteremo a condizioni favorevoli ai paesi che li richiederanno. "Sure" è interessante per i Paesi che hanno alti costi di finanziamento sui mercati».Va bene, ma basterà?
«Stiamo mettendo in campo diverse misure capaci di aiutare i paesi con un alto costo di finanziamento, altre sono in discussione. L’Unione e i governi sono determinati a fare il necessario per assicurare una ripresa rapida».
I governi sono spaccati sul Mes: alcuni chiedono di attivarlo senza condizionalità, altri invece vogliono impegni su un futuro di austerità. La Commissione cosa ne pensa?
«È logico usare il Mes come prossima linea di difesa perché è già capitalizzato e ha già capacità di prestito. Dobbiamo trovare un compromesso pragmatico, una soluzione su misura per questa crisi che ci permetta di attivarlo. Una qualche forma di condizionalità è legalmente necessaria, ma non stiamo parlando di una classica condizionalità macroeconomica».
Si litiga anche sulla possibilità di reperire risorse sui mercati per aiutare l’economia a superare la recessione: lei è favorevole agli Eurobond?
«Siamo in costante contatto con i governi. Sappiamo che stanno preparando delle proposte e sul tavolo c’è già quella francese. La Commissione lo ha detto chiaramente: siamo aperti a ogni opzione, abbiamo bisogno di una risposta ambiziosa, coordinata ed efficace contro la crisi. Siamo pronti a facilitare questo lavoro».
Von der Leyen ha affermato che il bilancio Ue dei prossimi sette anni dovrà essere un Piano Marshall contro la crisi: ce la farete visto che sul budget è sempre difficile mettere d’accordo i governi?
«Lavoriamo al Recovery plan per far ripartire l’economia. Un suo elemento importante sarà il bilancio.
Il prossimo quadro finanziario dovrà essere ambizioso e dovrà contenere una forte componente di investimenti per sostenere la ripresa. Se lavoreremo seguendo il business as usual, passerà almeno un anno prima che questi fondi siano immessi nell’economia. Non possiamo accettarlo, abbiamo bisogno di soluzioni per mettere subito in circuito il denaro».
Quindi il dialogo non manca ma:
L’Europa fatica a prendere una decisione politica sulla risposta da dare alla paralisi economica provocata da Covid 19, per il momento si muovono i singoli stati, con piani di salvataggio basati principalmente su un aumento del debito. Ma se il bilancio non è solido, sale il rischio di un declassamento del rating da parte delle agenzie, il che rende molto più complicato il collocamento dei nuovi bond, se ne è avuto un anticipo ieri con l'asta del nuovo bono spagnolo a trent'anni, la domanda è stata molto fiacca, su livelli che non si vedevano da circa dieci anni.

Intanto nel mondo, 3,9 miliardi di persone, circa la metà del genere umano, è costretta in casa. È stato superato il milione di contagi nei numeri ufficiali, molto di più nella realtà, l'immunità di gregge è ancora lontana.

giovedì 2 aprile 2020

L'AZIONE SOLIDALE PER L'EUROPA IN VISTA DELL'EUROGRUPPO DEL PROSSIMO 7 APRILE - PARTE PRIMA

Ammontano a 100 miliardi di euro i nuovi aiuti che l’Ue discuterà informalmente da oggi. Non denaro a pioggia, ma, come anticipato dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, nuove obbligazioni sul mercato internazionale dei capitali e garantite da tutti gli stati membri. Una mutualizzazione non del debito ma delle garanzie. Il ricavato andrà a una sorta di cassa integrazione europea come prestiti ai paesi più colpiti da disoccupazione causata dal coronavirus, e che presentino piani attivi di rientro al lavoro. Se il compromesso riceverà un primo via libera per affinarsi fino all’Eurogruppo del 7 aprile, ci si porta a casa il risultato, al di là di tutte le polemiche faziose di questi giorni. Interverrebbe la Bei, la Banca europea per gli investimenti.

BEI, UNA POSSIBILE VIA DI FUGA
La Banca europea per gli investimenti (BEI) è proprietà comune dei paesi dell’UE. Il suo obiettivo è:
  • accrescere le potenzialità dell'Europa in termini di occupazione crescita 
E' salita alla ribalta la Banca Europea degli Investimenti (BEI) nel ruolo di MES “buono”. In effetti, proprio il Direttore del MES Klaus Regling aveva dichiarato martedì scorso, al termine dell’Eurogruppo, che i coronabond ci sono già e sono le obbligazioni emesse dal MES (garantite dai 19 Paesi dell’Eurozona) e quelli emesse dalla BEI (garantite dai 27 Paesi della UE). Basta osservare le regole che questi istituti applicano per prestare denaro.Forte della garanzia degli Stati UE, raccoglie denaro sui mercati internazionali emettendo obbligazioni col massimo rating “AAA” (quindi a tassi prossimi allo zero) e li presta a favore di piccole e medie imprese ed enti locali prevalentemente della UE. Al 31/12/2019 aveva erogato prestiti per €560 miliardi, di cui 70 (12%) destinati all’Italia. Già il 16 marzo il Presidente della BEI è intervenuto, raschiando il fondo del bilancio, ed ha messo a disposizione prestiti che avrebbero attivato 40 miliardi di investimenti, poca cosa ma quello c’era in cassa. Ora, per erogare ulteriori prestiti ci vuole altro capitale o garanzie. Ma qui l’Italia deve mettere mano al portafoglio, perché è azionista della BEI al 19% circa, alla pari con Francia e Germania. L’ipotesi alla quale pare si stia lavorando è l’attivazione di un fondo di garanzia per 25 miliardi che potrebbe generare prestiti della BEI per 75 miliardi (la leva di 3,5 volte) che, a loro volta, concorrerebbero a finanziare investimenti per ulteriori 200 miliardi.